E-commerce e nuovi modelli di business: il dropshipping

A cura dell'Avv. Francesca Sutti e dell'Avv. Federich Romby


28 settembre 2017

Il business moderno è caratterizzato da scambi sempre più celeri. Le imprese sono chiamate a rispondere a una domanda esigente e sofisticata. Di conseguenza, specialmente nell'ambito dell'e-commerce, si vanno sviluppando nuovi modelli di business, tanto tra le grandi piattaforme quanto tra le microimprese. Tra questi modelli vi è il dropshipping.


In estrema sintesi, esso si ha quando il venditore offre sul proprio sito un prodotto di cui non ha la disponibilità fisica. Il meccanismo è il seguente:

  1.  Il cliente effettua l'ordine su una piattaforma online;
  2.  Il venditore raccoglie l'ordine e lo trasmette al fornitore (il c.d. dropshipper);
  3.  Il fornitore spedisce il prodotto direttamente al cliente che lo ha ordinato.

Così i venditori si concentreranno sul costruire la propria rete di fornitori, eliminando il rischio dell'invenduto e la necessità di disporre di un magazzino, con gli oneri finanziari che esso comporta. Anche i produttori che vendono online, del resto, offrono spesso prodotti di cui non hanno l'immediata disponibilità.


I dropshippers, a loro volta, hanno la possibilità di ampliare in maniera anche molto significativa la propria rete di vendita, potendo anche rivolgersi a una clientela che da soli avrebbero difficilmente potuto raggiungere.


E i consumatori?

Il modello di business in esame è certamente vantaggioso anche per loro nella misura in cui amplia le possibilità di accesso ai diversi prodotti e, quindi, la possibilità di scelta.

Vi è da dire che in più di un'occasione l'Autorità Antitrust ha già chiarito (vedasi in particolare il caso PS10171 T. e PS9192 U.) come la pratica della vendita di prodotti non disponibili in giacenza debba giudicarsi ingannevole.

 

Quindi, il dropshipping è illecito?

No. Più semplicemente, chi opera attraverso magazzini virtuali non deve indurre il consumatore a ritenere che il prodotto sia effettivamente nelle mani del venditore. Una tale pratica sarebbe sì ingannevole e violerebbe, dunque, il Codice del Consumo.

Senza contare che ciò può generare un danno risarcibile e, in ogni caso, minare la fiducia del consumatore.


 È pertanto essenziale stabilire quale sia il momento in cui la vendita si conclude. Generalmente esso viene identificato col momento in cui il compratore riceve dal venditore la conferma dell'ordine, o comunque una conferma che ingeneri nel compratore un legittimo affidamento.


Alcuni tuttavia ritengono che il display dei prodotti sul sito costituisca una proposta irrevocabile nei confronti del cliente, e che la vendita si concluderebbe nel momento in cui il venditore riceve l'ordine della merce.


La chiave è quindi quella di far sì che il consumatore sia reso edotto del fatto che la vendita si perfezionerà in un momento successivo, che potrà anche eventualmente coincidere con la consegna del bene.


Pubblicato su "Diritto24"


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