Geoblocking: Mercato Unico Digitale sempre più vicino?

A cura dell'Avv. Francesca Sutti e del Dott. Fabrizio Rapicano


12 aprile 2018

È notorio che il commercio elettronico sia sempre più "user-friendly" e raggiunga una vastissima pletora di utenti. Tuttavia, non è sempre facile acquistare su un sito straniero: in molti casi la piattaforma reindirizza automaticamente al sito del paese in cui è localizzato l'utente. La ragione del meccanismo è intuitiva: il venditore non vuole rinunciare a diversificare le proprie politiche commerciali, soprattutto di prezzo, tra i vari territori in cui è attivo.

 

Questa pratica però è suscettibile di incidere sulla libera circolazione delle merci all'interno dei paesi dell'Unione. Al contrario, l'e-commerce è uno strumento essenziale nella creazione di un mercato unico, perché in grado di abbattere le distanze dei punti vendita fisici sul territorio europeo. Il fenomeno, denominato geoblocking, è una delle pratiche commerciali più nocive al progetto di mercato unico, a maggior ragione se la sua diffusione segue un trend di crescita.

 

Nel 2015 solo il 15% degli utenti europei (su un totale del 53% che ha acquistato almeno una volta online) è riuscita a fare acquisti transfrontalieri mentre, nel 2016, il 63% dei siti online impediva l'acquisto cross-border attraverso molteplici modalità, dal cd. reindirizzamento automatico del sito, alle più disparate forme di (presunte) difficoltà nella finalizzazione dell'acquisto. Tutto questo ha portato l'Europa ad adottare in data 27 febbraio 2018 un nuovo Regolamento volto a limitare tale pratica, e ciò al fine di tutelare la parità di accesso a beni e servizi offerti online da tutti i punti del territorio europeo.

 

Il Regolamento entrerà in vigore il 3 dicembre 2018. Esso impone un approccio molto più rigido rispetto al passato, volto tuttavia a impedire solo le pratiche di geoblocking ingiustificate e comunque idonee a ostacolare il cd. mercato unico digitale: il divieto si applica dunque solo alle transazioni transfrontaliere. Inoltre, il Regolamento in questione non obbliga le imprese a vendere in tutti i paesi dell'Unione, né tantomeno impone uniformità di prezzo nei vari Stati membri. Le imprese saranno quindi ancora libere di diversificare le proprie strategie commerciali da paese a paese.

 

Il Regolamento riconosce poi che un tale divieto non possa essere applicato indiscriminatamente ma debba essere soggetto ad alcune esclusioni oggettive e soggettive. Così, ad esempio, vengono esentati dal divieto i sistemi di distribuzione selettiva tanto diffusi nei settori dei prodotti del lusso e di alta tecnologia. Altre deroghe sono poi connesse all'incontro con le norme a protezione del diritto d'autore, essendo esclusi dallo scopo della normativa una vasta gamma di prodotti e servizi coperti da copyright, dai libri allo streaming musicale. Ora non vi è che attendere il 2020, data in cui la Commissione si è riproposta di riesaminare il fenomeno.


Pubblicato su "Diritto24"


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