La Cassazione interviene nuovamente in tema di diritti d'autore.

A cura dell'Avv. Francesca Sutti e dell'Avv. Giacomo Dalla Valentina 


4 febbraio 2019

A distanza di pochi mesi dalla rilevante decisione con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha accertato talune condotte abusive della Società Italiana degli Autori ed Editori (SIAE), già analizzata in questa rivista, una nuova pronuncia, questa volta proveniente dalla Terza sezione penale della Corte di Cassazione, definisce ulteriormente i contorni della disciplina della raccolta collettiva dei diritti d’autore.


A oggetto della sentenza adottata a novembre, ma depositata questo gennaio (Cass. Pen., Sez. III, n. 1652/2019), sono ora gli obblighi gravanti sugli emittenti radiofonici in relazione al pagamento dei contributi, non solo nei confronti di SIAE ma anche della Società Consorzio Fonografici (SCF).


Quest’ultima è una società consortile avente come oggetto l’amministrazione e la gestione collettiva dei diritti spettanti ai produttori fonografici.


Si ricorda, innanzitutto, che la stessa costituzione di SCF era già stata oggetto di un procedimento dell’AGCM (n. I-369 del 1999), volto ad accertare se le attività svolte dal consorzio fossero idonee a restringere in misura consistente la concorrenza; quesito risolto in senso negativo dall’Autorità Antitrust che anzi aveva rilevato che, attraverso SCF, le imprese avrebbero potuto ridurre significativamente i costi connessi alla gestione dei diritti fonografici e il mercato si sarebbe verosimilmente allargato grazie alla potenzialità di SCF di raggiungere (anche) soggetti che, tradizionalmente, sfruttavano abusivamente tali diritti.


L’attivata di SCF consiste prevalentemente nell’intermediazione dei compensi dovuti, ai sensi della legge sul diritto d’autore, ad artisti e produttori discografici, per l’utilizzo in pubblico di musica registrata.


Si noti, peraltro, che con riferimento agli operatori radiofonici,  l’attività di raccolta svolta da SCF si colloca, in un rapporto di complementarietà – e non alternatività – rispetto a SIAE, nei confronti della quale i contributi rimangono in ogni caso dovuti. Ne discende che, secondo la Suprema Corte, vanno obbligatoriamente pagati entrambi i diritti.


Ed è proprio su questo aspetto che si concentra la pronuncia la sezione penale della Corte di Cassazione quando afferma che tale rapporto tra SIAE e SCF si rivelerebbe, specialmente per operatori di modeste dimensioni, eccessivamente oneroso e di difficile implementazione, alla luce di un’incertezza normativa circa i presupposti dei relativi contributi.


Il caso sottoposto ai giudici di legittimità riguardava, in particolare, una web radio locale, il cui principale finanziatore era stato indagato per il fatto che l’emittente aveva trasmesso circa quattromila brani avendo corrisposto i diritti alla sola SIAE e non anche a SCF.

Che tale omissione costituisca reato la Corte lo aveva già affermato qualche anno fa (Cass. Pen., Sez. III, n. 2515/2015): essa, infatti, violerebbe  le prescrizioni di natura penale contenute nella legge sul diritto d’autore, segnatamente l’art. 171-ter, la cui lettera a) punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni chi abusivamente duplichi o, con qualunque mezzo, diffonda contenuti fonografici o audiovisivi.


Nel caso di specie, in particolare, l’imputato è stato – non certo senza una certa sorpresa – assolto nei tre gradi di giudizio, ma non perché il mancato versamento a SCF non costituisse reato, bensì in ragione della mancanza dell’elemento soggettivo, ossia la (incolpevole) incoscienza di commettere un crimine.


Prima tra tutte, è stata valutata la rilevanza dell’assenza dello scopo di lucro dell’emittente radiofonica in questione. Tale emittente si limitava, per l’appunto, a trasmettere, a titolo gratuito, messaggi pubblicitari di organizzazioni non governative (ONG). L’unica forma di pubblicità poteva al massimo essere ravvisata nella presenza di un banner che richiamava la testata giornalistica e proprietaria della stessa emittente.


L’eventuale assenza di scopo di lucro non avrebbe potuto, tuttavia, escludere in toto la punibilità dell’imputato, atteso che il secondo comma del citato articolo 171-ter punisce chi, a prescindere dalla finalità lucrativa, “riproduce, duplica, trasmette o diffonde abusivamente, vende o pone altrimenti in commercio, cede a qualsiasi titolo o importa abusivamente oltre cinquanta copie o esemplari di opere tutelate dal diritto d'autore e da diritti connessi”.


Nondimeno, la Corte ha rilevato come la sovrapposizione di obblighi contributivi possa ingenerare nell’operatore, se privo di competenze tecniche o di modeste dimensioni, notevoli difficoltà nell’accertamento della sussistenza di un obbligo di effettuare tale pagamento.


Di conseguenza, avuta a mente la “buona fede dell’imputato”, che peraltro aveva seguito indicazioni fornita dalla stessa SIAE (la quale, si noti, opera frequentemente quale mandataria di SCF nella raccolta dei d’autore), la Corte ha escluso la carenza dell’elemento soggettivo e, di conseguenza, confermato la sentenza di assoluzione dei giudici di prime cure.


L’interpretazione operata dalla Corte, specialmente ove fosse seguita dalla futura prassi giurisprudenziale, dotata di grandi margini di discrezionalità sulla valutazione delle competenze tecniche del singolo operatore radiofonico, rappresenterebbe, per certi versi, un precedente rivoluzionario e finirebbe, di fatto, con l’alleggerire la deterrenza delle norme penali a tutela del diritto d’autore.

Pubblicato su "Diritto 24"


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